Le discese a mare e il lago di Venere
Albe e Tramonti
Pietanze e Piatti Tipici
Non credo esista al mondo un luogo più adatto per pensare alla luna. Ma Pantelleria è più bella.
Le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta di calce fino agli scalini dalle cui finestre si vedono nelle notti senza vento i fasci luminosi dei fari africani… Fondali addormentati… Un’anfora con ghirlande pietrificate e i resti di un vino corroso dagli anni…
il bagno in una conca fumante dalle acque così dense che è quasi possibile camminarvi sopra…
Gabriel Garcia Marquez
Più vicina all’Africa che alla Sicilia, questa isola da sogno di origine vulcanica è una delle più misteriose del Mediterraneo. Si propone con uno straordinario susseguirsi di panorami incantevoli, di pittoreschi paesini incastonati tra il mare e i verdi costoni rocciosi. Ovunque l’intenso profumo della menta e del cappero…
83 KMQ; PERIMETRO KM. 51,50 dal mare, 42 KM. con auto; ALTEZZA MONTAGNA GRANDE MT. 836; LARGHEZZA KM. 8; LUNGHEZZA 13,7 KM.; DISTANZA DALLA TUNISIA KM. 67 da capo mustafà, 75,13 KM. da Kelibia e KM. 84 da capo bon; DISTANZA DALLA SICILIA KM. 110 da capo granitola e 142,40 km. DA TRAPANI. E’ LA 5^ ISOLA ITALIANA DOPO SICILIA, SARDEGNA, ISOLA D’ELBA ED ISOLA DI SANT’ANTIOCO. 7.500 ABITANTI.
Temperature: inverno: 9-14 gradi; estate: 25 gradi in media.
Pioggia: 350 mm. Annui. Vento: Ghibli (vento del deserto con sabbie finissime).
E’ la parte emersa di un edificio vulcanico di 2.000 metri. Vi sono state diverse manifestazioni vulcaniche originatesi dalla frattura del “rift” del canale di Sicilia.
Le rocce di Pantelleria sono acide e ricche di materiali sodici, uniche al mondo, dette Pantelleriti, rocce verdi con minuscoli cristalli grigio ferro, noti col nome di Cossyriti, (si trovano nella strada per l’aeroporto, al lago e a cala 5 denti). Dalla loro analisi la nascita di Pantelleria risale all’ultimo periodo del terziario (le altre isole del mediterraneo risalgono a periodi diversi del Mesozoico, dunque Pantelleria ha età geologica più recente).
Le prime esplosioni risalgono a 500.000 anni fa e formò la prima porzione (circa la metà) dell’isola. La montagna, le cuddie sono segnali delle fasi vulcaniche. Uno dei più importanti eventi vulcanici si ebbe circa 50.000 anni fa, quando un’eruzione di eccezionale potenza ricoprì l’intera isola, con conseguente formazione di un’ampia caldera: serra di ghirlanda, contrada monastero e contrada zinedi. Successivamente, un’altra eruzione (35.000-30.000 anni fa) diede origine a montagna grande, cuddia mida e monte gibele. 20.000 anni fa si formò monte gelkamar che eruttò una serie di colate laviche che giunsero fino al mare, dando origine all’attuale costa di Punta Fram. Poi ancora, 9.000 anni fa, cuddia rossa e cuddia bruciata L’ultimo fenomeno vulcanico risale al 1831: emersione dell’isola Ferdinandea, a 50 km. Nord-est da Pantelleria, poi ritornata negli abissi. Poi nel 1891 (mare antistante il paese di Pantelleria). Fenomeni vulcanici si osservano a Gadir, Nikà, Scauri (lavatoio), Sateria, Lago, Kazzen, Sibà (grotta di Benikulà), Cala Cottone (“Buvire” Le buvire, dall’arabo buir ovvero fonte, sono sorgenti di acqua salmastra originate dall’incontro di acqua marina e acqua piovana, nel passato costituivano le principali fonti di acqua per usi non alimentari. Sono presenti anche cala gadir e cala tramontana), cala Tramontana, Favare, Cuddia di Mida e grotta del freddo a Buccuram. Gadir è utile per la cura di artrosi e reumatismi; sulle pareti delle vasche (40-55 C°) nasce un’alga indicata per curare sinusiti, raffreddori e piccoli problemi alle vie respiratorie. Da vedere (anche on line) il percorso archeologico sottomarino: 2 relitti del II° e I° secolo a.c. con anfore prodotte a Cartagine. Morfologicamente l’isola si può dividere in 2 sezioni: nella prima, la più ampia, che corre lungo l’asse NE-SW, da cala Cinque denti a Sataria, insistono le altezze maggiori e la costa, che cade a picco sul mare, è costituita da vulcaniti acide, ricche di silice dette Pantelleriti. La seconda, invece, nella parte nord occidentale, con andamento pianeggiante e collinare, presenta vulcaniti basiche, povere di silice, dall’aspetto particolarmente scuro.
mustazzoli dolce di Natale (sfoglia a base di semola, miele o vino cotto, cannella e scorza d’arancia/mandarino grattugiata), cassata, pasticciotti; ravioli dolci; sfinci dolci (frittelle con zucchero e cannella o con miele); baci; cannoli; cassateddre/i con crema o ricotta, viscottu (biscotto d’orzo), cannateddru (dolce Pasquale), fatto di pasta dolce e decorato con variopinte uova soda; pignolata con miele.
serpente “colubro ferro di cavallo” (Coluber Hippocrepis); presente anche in Sardegna, il più bel serpente d’Europa per la sua colorata livrea. L’altra rarità è rappresentata dalla testuggine greca “testudo greca”, chiamata localmente “tartuca”: la colonia che vive a Pantelleria è una delle poche rimaste allo stato selvatico (in Sicilia completamente estinta).
Le lucertole, localmente chiamate “sarmuscele” di specie siciliana, scorazzano per i muretti dell’isola assieme ai gechi, “cucciarde tignuse”, mimetizzandosi perfettamente con l’ambiente circostante.
Il biacco, i cui esemplari melanici sembrano fatti di ossidiana.
Il gongilo, chiamato “sangumia” che stabilisce la sua dimora sotto terra e sotto i sassi.
Aironi cinerini, fenicotteri rosa, capinere “fatascià” grù al lago, fratino, pettirosso, monachella, ortolano, balia nera, occhiocotto, torcicollo, capinera, re di quaglie, quaglie, codirosso, falcone della regine, falco pellegrino, falco gheppio “u sicarro” (più caratteristico dell’isola), barbagianni (padrone dei cieli notturni dell’isola), tortore, allodole, tordi, merli, beccacce, calandre, gabbiano reale, la berta, il falco torraiolo, il pipistrello plecotus (grotte naturali di Gelfiser), la tartaruga di Hermann, il coleottero pantesco, il coniglio selvatico, ape mellifera di origine africana colore bruno; grillo talpa al lago di venere.
ARENELLA: piccola arena (latino); ATTALORA: nome nobile di famiglia; BALATA DEI TURCHI (arabo) balat=lastra di pietra. Broggia narra che tre galeotte di pirati turchi durante la notte tentarono di sbarcare a Pantelleria; BARONE: nome dal titolo del proprietario; BECCIMURSA’: arabo velgimarsa (località in faccia al porto); BENIKULA’: contrada della tribù dei Kula (arabo); BENIMINGALLO (arabo) tribù Mingalat; BONSULTON (arabo) figlio del sultano; BUGEBER (arabo) luogo del padre del concia ossa; contrada del pane; BUKKURAM (arabo) contrada delle vigne; CAMPOBELLO: dall’arabo (luogo aspro); CIMILLIA (arabo) contrada dei cammelli; CONITRO (arabo) porte, contrada del ponte; CUDDIA (arabo) piccola collina; DAKALE’ (arabo) ingresso tra due monti; pozzo con l’imboccatura stretta; FARCHICALA’ (arabo) bivio della fortezza; FRAM (arabo) forni o coste frastagliate; GADIR (arabo) sorgente o stagno; nome di origine semitica che significa “luogo protetto”; GELFISER (arabo) monte delle fessure; GELKAMAR (arabo) monte rosso o raggio di luna; GHIRLANDA (latino) giardino; GIBBIUNA (arabo) vasche in muratura; GIBELE (arabo) montagna; KADDIUGGIA (arabo) pianta del geranio; nome prima moglie di Maometto, reincarnata in un’altra donna, divenuta signora della contrada; KHAFFARO (arabo) buca o fossa; KAFFEFI (arabo) pietra pomice; KAGGIAR (arabo) luogo delle pietre nere; KAMMA (arabo) contrada della sorgente calda; dove si coltiva la canapa; KHANIA (arabo) contrada vicino all’arco; KARACE (arabo) dove sfocia il fiume; KHAREB (arabo) luogo incolto e in rovina; KARUSCIA (arabo) terreno pietroso; KHASSA’ (arabo) contrada dei nobili Cassar; KHATTIBUALI (arabo) striscia del padre di Alì; KAZZEN località dei magazzini; KHUFIRA’ contrada della fossa; KUTTINAR via del fuoco; MAGGIULUVEDI: luogo sicuro; MARGANA (dialetto) prato o campo fiorito; MARTINGANA (spagnolo) nome di una nave; MONASTERO deriva dall’esistenza di un monastero; MUEGGEN (arabo) località delle cisterne; MURSIA località vicino al porto; NIKA’ luogo degli stagni; REKALI contrada di Alì il grande; RUKIA grande pozzo; SATARIA (greco) contrada del timo, grotta della salute-il naufrago Ulisse rimase ammaliato per ben sette anni dalle trecce della bella ninfa dea Calipso; SCAURI (latino) luogo dove si sbarca; SCIRAFI: (arabo) luogo alto e nobile; contrada della fortificazione; SCIUVEKI (arabo) località ingombra di spine; SERRAGLIA (spagnolo) catena di montagne; SIBA’ (arabo) contrada del mattino; SUVACHI terra molle o fangosa; TRACINO: punta; ZIGHIDI’: nome di una tribù dello Yemen: gli Zeghedi; ZITON (arabo) luogo piantato a olive; ZUBEBI: uva o fichi secchi.
Nel territorio dell’isola sono presenti 14 edifici di culto: nove chiese rurali, quattro di moderna costruzione e un santuario. La maggioranza di esse sorge a partire dal 1700, nelle zone maggiormente dedite all’agricoltura, da questo nasce la dedica delle chiese ai santi che si festeggiano nei mesi estivi, durante il periodo di maggiore raccolta dei prodotti agricoli. Alcune sono utilizzate tutto l’anno, altre sono aperte solo in occasione delle festività del santo a cui sono dedicate. Sparse in tutto il territorio dell’isola si trovano all’interno dei principali centri abitati. La loro architettura richiama quella del dammuso, tipica costruzione locale, frutto del lavoro di un’intera comunità che ha utilizzato le conoscenze che aveva; pertanto, delle chiese più antiche non si conosce il nome di chi le ha progettate. (vedi mappa con le Chiese)
1) Chiesa Madonna del Rosario a Sibà (Madonna con Bambino con gli occhi di ossidiana);
2) Chiesa di San Giacomo tra la via Roma e la via D’Annunzio;
3) Chiesetta di Sant’Antonio a Mueggen (Messa a Pasquetta);
4) Chiesa di San Giuseppe a Rekhale;
5) Chiesa di San Giacomo a Kaddiuggia;
6) Chiesa di San Francesco a Piana Ghirlanda;
7) guardiano del passo del Kalki (Kherc) (separa montagna grande da monte gibele);
8) Chiesa Madonna delle Grazia (tramonto);
9) Chiesa Madonna della Pace a Tracino (a piazza perugia, dal nome del battaglione di fanteria perugia della seconda guerra mondiale;
10) Chiesa San Francesco a Kamma;
11) Chiesa San Vincenzo a Kattibuale;
12) Chiesa Madonna del Rosario a Sibà;
13) Chiesa di San Michele a Buccuram;
14) Chiesa Santa Chiara a Bugeber;
15) Chiesa San Gaetano a Scauri;
16) Chiesa di Sant’Anna a farchicalà-Sant’Anna;
17) Chiesa di San vito a Cufurà;
18) Santuario della Margana: dedicato alla Madonna della Margana, patrona dell’isola, si trova nell’omonima contrada. L’attuale edificio, costruito su un precedente santuario intorno al 1700, conserva le caratteristiche del modello classico di Chiesa rurale: navata unica, volta a botte, tetto a capanna. Nel corso degli anni ha subito diversi ritocchi come nella facciata principale e nel sagrato; gli affreschi interni, realizzati da un sacerdote greco esiliato, sono stati coperti e il campanile è stato sostituito. Anche il pavimento è stato sostituito nel 1966, al di sotto del quale si conservano delle sepolture che risalgono ai primi del 1800 e una cripta sotterranea poi chiusa. Il dipinto della Madonna è di inestimabile valore. La leggenda narra che il quadro, risalente al 1857, di probabile fattura bizantina, provenga dall’oriente, trasportato da un veliero. Gettato in mare da una nave di passaggio, costretta ad alleggerirsi per una tempesta, fu trovato su una delle spiagge di ponente dell’isola da pescatori panteschi che decisero di portarlo al parroco del paese. Caricato sul dorso di un asino, l’animale giunto in località Margana, si fermò e non volle andare più avanti, indicando così la collocazione del quadro. Le autorità religiose, insieme con la popolazione presente, decisero di erigere un Santuario proprio nel punto in cui si trovava il quadro della Madonna. E così fu fatto. Fu chiamata Madonna della Margana (dei campi o dei prati). La leggenda racconta che nel mese di ottobre, il quadro, che aveva preso posto nell’apposita nicchia della Chiesa della Margana, scomparve e venne ritrovato misteriosamente nella Chiesa Matrice di pantelleri-capoluogo. Dopo sei mesi, a maggio, accadde l’opposto: il quadro venne ritrovato di nuovo a margana. E fu così che divenne una consuetudine di fede la processione religiosa che si svolge ogni sei mesi per trasportare la Madonna, proclamata intanto patrona dell’isola, da Pantelleria a Margana e viceversa.
Altra versione asserisce che il quadro sia arrivato a Pantelleria per mezzo dei monaci del cenobio del Patirion, con i quali i basiliani di Pantelleria erano in contatto, per nasconderlo dalle numerose scorrerie piratesche che all’epoca infestavano le coste siciliane.
1) Madonna del mare tra via itria e via villa (commemora la battaglia aereo-navale di Pantelleria);
2) San Francesco a Margana;
3) San Corrado strada che da Scauri porta a rekale;
4) Madonna del Rosario e all’Immacolata: 2 cappellette dietro isola l’una accanto all’altra (balata turchi) pellegrinaggio primo maggio;
5) Madonna del Rosario in contrada Grazia;
6) Santa Rosalia in contrada Rekali;
7) Santissimo Sacramento in contrada tracino;
8) San Fortunato e Madonna della Margana in Montagna grande;
9) San Giuseppe;
10) Santa Lucia;
11) vicino casa Ennio Valenza Smede.
FESTA DI SAN FORTUNATO patrono dell’isola 16 OTTOBRE (festa dei marinai). La manifestazione religiosa ha avuto origine a seguito delle scosse sismiche avutesi al largo di Pantelleria nel 1891. (interventi miracolosi nel terremoto del 1831 e nel maremoto del 1891). Il simulacro del Santo viene portato in processione alla marina e posto su una barca assieme a una corona di fiori. La barca, seguita da tante altre, si sposta verso il largo del porto di Pantelleria-capoluogo, dove circa un secolo fa vi è stato il fenomeno sismico e viene gettata in mare la corno per commemorare i morti in mare, chiedere la protezione dai sismi e per placare le acque.
FESTA PROCESSIONE MADONNA MARGANA (trasporto del quadro a spalla) FINE OTTOBRE (ultima domenica) DISCESA E SALITA A FINE MAGGIO (ultima domenica)
FESTA DI SAN GIUSEPPE (festa degli agricoltori) 19 MARZO: si inneggia alla primavera, alla generosità, al lavoro e si vuole ricordare anche i poveri. Nelle case dei devoti vengono eretti gli altarini, piccoli capolavori, ricchi di significato e di storia, ricchi di pane, frutta, fiori, ecc.
FESTA SAN GIOVANNI E SAN PIETRO 24 e 24 GIUGNO: festa popolare in cui tutti i panteschi scelgono come punto d’incontro la marina del capoluogo e organizzano giochi, musica, giri in barca e passeggiate.
CARNEVALE: si festeggia fino all’alba per sette settimane e mezzo fino alla vigilia delle ceneri. Già durante le feste natalizie vengono organizzate serate danzanti con orchestrine che suonano soprattutto il liscio nei 16 (una volta 21) circoli ricreativi presenti in ogni contrada e creati appositamente per riunirsi, giocare, parlare e divertirsi allietati da ricchi buffet preparati dagli stessi partecipanti. Naturalmente non manca un buon bicchiere di vino pantesco fatto in casa. Il circolo rivendica la propria appartenenza ad una comunità. Ogigia, Sporting Club, Columbus, Grazia, Bukkuram, Tinozza, Scauri Basso, Scauri Alto, Rekale, Fosso, Trieste, Sibà, Koutek, Vittorio Veneto, San Vito e Casineddra, sono questi i nomi dei 16 circoli presenti e sparsi sul territorio isolano. Un numero elevato considerato in rapporto alla popolazione e all’estensione di questa piccola isola al centro del Mediterraneo.
SAGRA DEL CUSCUS PENULTIMA DOMENICA DI GIUGNO
FESTA DI SAN GAETANO prima domenica di agosto
CARNEVALE (CIRCOLI)
CAPPERO FESTIVAL
LANCE PANTESCHE-REGATE GRAN PREMIO VELICO: oggi per tenere vivo il ricordo degli affascinanti velieri e delle gesta eroiche dei loro capitani, si svolgono ogni anno tra giugno e ottobre le regate delle lance tipiche pantesche. Le lance sono state costruite dall’ultimo maestro di ascia dell’isola. Sono barche molto leggere, dalle linee essenziali e dalle eccezionali qualità nautiche. Costruite con legni pregiati, sono lunghe 5,10 metri, con circa 37 mq. Di superficie velica, prora a piombo con lunghi bompressi e poppa a specchio dalla quale sporge il lunghissimo boma. All’albero, privo di crocette ma sostenuto con delle volanti, è agganciata un’antenna che porta la vela maestra. Queste imbarcazioni uniscono ad una incredibile e spettacolare capacità di alzare un muro di vela e di stringere il vento, un’eccezionale velocità che le deriva dal criterio particolare con il quale sono state progettate e quindi armate.
Le coste sono come dei ricami, come dei merletti, frastagliate…il nero, giallo e rosso delle colate laviche che si gettano nel mare cristallino, le innumerevoli grotte e le spiaggette di ciottoli, le splendide insenature che accolgono i piccoli porticcioli dei pescatori. I fondali, tra i più ricchi del mediterraneo, consentono a subacquei esperti e semplici amanti del mare di arricchire la propria vacanza sull’isola immergendosi tra le rigogliose praterie di posidonie, gorgonie e di varie specie di fauna ittica. Frequentatori abituali di queste acque sono anche gruppi di cetacei come la balena pilota, delfini e trigoni.
Montagna grande mt. 836 area pic-nic e grotta dei briganti (storia vera durata tre anni, che ha coinvolto alcuni giovanissimi innocenti e ha fatto vivere ai panteschi un periodo di paura. Tutto cominciò con l’uccisione di Don Fortunto Ribera, comandante della guardia nazionale la sera del 17/8/1860 e l’accusa dei suoi 4 nipoti da parte dell’opinione pubblica, in quanto zio e nipoti erano in lite per questioni di eredità. I giovani accusati, sentendosi ricercati, si diedero alla fuga. Ad essi si unirono altri giovani che, chiamati alla leva militare, spaventati perché non abituati ad assolvere tale dovere imposto dal nuovo Regno d’Italia, preferirono disertare, in attesa della paventata restaurazione borbonica. Così il gruppo di circa quindici giovani cominciò a vagare per le campagne, pernottando in grotte, lontane dalle loro case. Vivevano mantenuti da amici e conoscenti, ma più passava il tempo, più le difficoltà li incrudelivano, specialmente contro chi non li aiutava o faceva la spia alla forza pubblica. Commisero, pertanto, alcuni omicidi e la gente cominciò a chiamarli briganti. Le cose non potevano più andare avanti, tanto che fu deciso dal colonnello delle forze armate in collaborazione con una parte della popolazione maschile di effettuare una ricerca sistematica per scovare i briganti. Così fu fatto. Divisi in quattro squadre, circa mille uomini si diressero nelle zone interne dell’isola, alla ricerca di quei disperati, che ormai costituivano pericolo per tutti. Ma, avrebbero cercato invano, se un capraio, che giorni prima aveva indicato un nascondiglio ai briganti, non avesse parlato. Infatti, era impossibile trovarli nella grotta sita nel versante sud della montagna grande. A seguito di tale indicazione, i gendarmi minacciarono dall’alto che avrebbero fatto esplodere la zona e i briganti si arresero. Ammanettati, furono condotti al castello, “passando tutti laceri, barbuti, capelluti, irti e smunti, per la piazza cavour, rullante il tamburo, precedentemente spiegato il tricolore e accalcantesi ai lati spettatrice gran folla, commossa in parte fino alle lacrime”. La conclusione di questa storia fu penosa, in quanto furono poi giustiziati quasi tutti a villa Margherita a Trapani. A ricordarla rimane la grotta che da quel giorno fu chiamata Grotta dei Briganti);
Acropoli San Marco con polveriera e scavi Santa Teresa (iresti dell’antica capitale dell’isola: il Foro, le tre cinte murarie, la rete stradale, il caseggiato, l’area scara e il sistema di approvvigionamento idrico, forte di innumerevoli cisterne) e Sant’Elmo;
Sesi;
Castello: si potranno visitare le mostre d’arte, i reperti archeologici ritrovati nelle campagne di scavo e le teste imperiali di Giulio Cesare, Antonia (Agrippina) Minore e Tito, rinvenute nell’Acropoli di San Marco a settembre 2003 da alcuni studenti di archeologia guidati da Sebastiano Tusa, insieme a Thomas Schaefer dell’università di Tubingen e Massimo Osanna dell’università della Basilicata, impegnati nella campagna di scavi sulla collina San Marco, dove è stata rinvenuta un’acropoli. Dalla Soprintendenza di Trapani sono state subito individuate come di epoca augustea. Nel 2004 sono state esposte al museo archeologico Antonio Salinas di Palermo e nel 2010 al British Museum di Londra, quindi definitivamente collocate in una sala del castello medievale. La testa di Cesare è eseguita in marmo pario, quella di Antonia è ornata da un diadema e da un’acconciatura a onde e boccoli, mentre quella di Tito, realizzata in marmo greco a grana rossa, raffigura un imperatore ancora giovane; Il Castello di Pantelleria, erroneamente chiamato Barbacane, è un monumento di origine medievale realizzato in pietra lavica, oggi sostanzialmente integro anche se in passato sottoposto a vari restauri. Situato in quello che è il centro dell’isola stessa, il Castello domina l’intero porto, strategica posizione per la fortezza adibita a carcere fino al 1975. Un tempo era infatti circondato interamente dalle acque del mare a e dotato di un ponte levatoio per i collegamenti con l’esterno. Originariamente costituiva un baluardo a protezione dei traffici marittimi dell’isola, rappresentando l’elemento predominante della città murata. La fondazione del castello è fatta risalire ad epoca bizantina o araba, anche se è esso è attestato con certezza non prima del XIII secolo. Attorno al 1553 vengono edificati il bastione lato mare e il bastione di nord-est. Successivamente viene aggiunto un corpo a sud-ovest e nel 1700 viene interrato il piano delle cantine. A metà del XIX secolo vengono effettuate imponenti opere di restauro e trasformazione che ne rimarcarono sempre più la destinazione a carcere. Il castello, che è interamente costruito in pietra lavica, è composto da quattro piani di cui uno risulta essere quasi del tutto interrato. Ha una superficie di circa 1665 mq. E presenta un impianto planimetrico costituito da un corpo centrale gravitante attorno ad un cortile che ha forma trapezoidale e da due bastioni a nord-est e nord-ovest, oltre una torre sul lato sud-est e ad un altro cortile. Già nel 1628 la guarnigione del castello è composta da 128 soldati e nel corso dei secoli viene utilizzato per tanti scopi: come fortezza e come carcere. Dal 1656, quando Pantelleria diventa luogo di confino, le stanze del castello vengono utilizzate per ospitare i confinati sia politici che comuni. Durante la seconda guerra mondiale è sede dei comandi della marina militare, dell’aviazione e dei carabinieri. Fino al 1975 viene utilizzato dal Ministero di Grazia e Giustizia come carcere. Da alcuni anni, dopo i lavori di restauro, il castello ha utilizzo museale e culturale. L’interno, invece, ospita ben 66 vani disposti su 3 elevazioni, volte a botte, archi in pietra da taglio, vecchie segrete e torri circolari. La fama di questa grandiosa costruzione non si deve solamente alle peculiarità architettoniche con le quali fu anticamente realizzato bensì a quella che è la storia che lo contraddistingue, una storia che copre parecchi secoli. Soggetto a continue modifiche nel corso degli anni, a continui ampliamenti da parte di arabi, bizantini, normanni, spagnoli, il Castello di Pantelleria è il segno evidente di quelle che furono le numerose colonizzazioni dell’isola, delle antiche e cruente battaglie medievali fino ad arrivare alle guerre mondiali del secolo scorso. È una storia ancora da scrivere quella che caratterizza il misterioso castello di Pantelleria. Il Castello oggi regala ai migliaia di visitatori dell’isola una splendida vista su tutto il porto di Pantelleria, uno dei panorami più suggestivi all’alba quando all’orizzonte si intravedono navi che stanno per attraccare o quando alla sera stanno per salpare.
Villaggio mursia
villaggio tardo romano a scauri (insediamento di presumibile epoca vandala, sorto sui ruderi di una villa romana; villaggio del V secolo: avanzi della Basilica, della necropoli e dell’area abitata, composta da tuguri scavati nella roccia per tre lati, col tetto a botte intonacato di calce e lapillo lavico: gli antenati dei dammusi; divenne uno dei centri produttivi tra i più attivi dell’isola soprattutto in occasione della felice manifattura della cosiddetta “Pantelleria Ware” che tanto peso ebbe nei commerci marittimi mediterranei. Nella baia antistante l’insediamento è stato identificato un relitto di nave che trasportava un carico di ceramica da “fuoco”) e tombe bizantine (bonomo e giglio-coop. Capperi-olio, località zighidì necropoli bizantina: è la stessa ?);
La flora prevalente a Pantelleria è così rappresentata:
Lungo il margine sterno del lago di Venere è localizzata l’unica stazione europea che vede riunite tre specie vegetali rare: lo zigolo levigato, la lisca costiera e il limonio densissimo (specie endemica puntiforme).
Funghi:
L’uva è arrivata dalla Mesopotamia e la vendemmia inizia a metà agosto. Parigi, 24/11/2014: i 161 paesi membri dell’Unesco hanno riconosciuto all’unanimità, la lavorazione dell’uva zibibbo di Pantelleria come patrimonio dell’umanità.
Il cappero è raccolto da fine maggio a fine agosto. Si raccolgono i boccioli prima che fioriscano. Messi in salamoia per alcune settimane, i capperi vengono scolati e sono pronti per essere consumati. Le olive a novembre. Potature basse per proteggerli dal vento.
Una testimonianza di agricoltura difficile ed eroica, insieme alla coltura della vite ad alberello, è quella dei Capperi di Pantelleria.
Il Cappero Pantesco si distingue dagli altri per l’intensità dei profumi, per il suo gusto spiccato così caratteristico e tipico che l’Europa gli ha assegnato il marchio IGP. Forse non tutti sanno che quello che noi mangiamo non è il frutto della pianta del Cappero bensì il bottone fiorale, il fiore non ancora sbocciato, il cosiddetto bocciolo. La pianta di Cappero è un alberello che, dalla primavera all’autunno, produce i capperi lungo i propri rami che possono raggiungere anche i due metri di lunghezza. Per questo, nei cappereti, terreni dove si coltivano i capperi, le piante sono disposte ad una certa distanza l’una dall’altra. La pianta del cappero è anche una pianta spontanea grazie alla semenza che, essendo molto piccola, viene trascinata dal vento per tutta l’isola. Questi semi trovano un terreno particolarmente fertile nei muri a secco di cui l’isola di Pantelleria è piena. La pianta del cappero necessita di un tempo di circa tre anni per poter entrare in fioritura e non ha bisogno cure particolari. La raccolta del cappero è una raccolta di tipo scalare: i rami del cappero si allungano, da Maggio ad Settembre, ogni giorno e quindi man mano che crescono, in punta, producono dei fiori che, prima di diventare tali, vengono raccolti. Se non viene raccolto il cappero cresce, viene chiamato sfogliato, fino a diventare fiore. Una volta che il fiore sboccia, dal fiore stesso nasce il frutto, quello che qui viene chiamato cucuncio. Il frutto, il cucuncio quindi, porta la semenza che serve a garantire la sopravvivenza della specie. La raccolta dei Capperi di Pantelleria è una delle più faticose perché è praticata in terreni non facili, scoscesi, sassosi. La raccolta del cappero non necessità di grande manualità, basta non rompere la punta del ramo che è quella che poi dovrà produrre altri capperi. L’esperienza ovviamente porta ad una maggiore velocità di raccolta. Sia il Cappero che il Cucuncio, appena raccolti, non si possono mangiare perchè sono molto amari e piccanti. Da qui inizia il procedimento che porta a far maturare questi prodotti attraverso l’utilizzo del sale marino. Una volta che il contadino finisce il proprio lavoro di raccolta, egli mette i Capperi in dei tini dove da inizio alla fase successiva che è la salagione perché, lo ripetiamo, fino a questo momento i capperi non sono commestibili perché parecchio amari. In questo momento il cappero inizia la sua trasformazione che avviene attraverso l’utilizzo del sale marino in una percentuale indicativa pari al 40%. Con questa aggiunta di sale si va a formare, per un processo di osmosi, una salamoia densa. Il cappero rimane per 10 giorni in questa salamoia e quotidianamente viene rimescolato. Dopo 10 giorni viene fatta un’altra salatura per una percentuale indicativa del 20% che da inizio ad una fermentazione di tipo malolattico: l’acido malico che conferiva al cappero tutte quelle sensazioni sgradevoli viene trasformato in acido lattico. Questa salatura dura altri 10 giorni. Anche il calibro del sale è importante, se troppo fino si scioglie subito, se troppo grosso può danneggiare il cappero stesso, si sceglie pertanto un calibro medio. Alla fine dei 20 giorni i capperi sono maturi, sono quindi commestibili e sprigionano tutti quei profumi della terra vulcanica di Pantelleria. Qui termina il lavoro dell’agricoltore: dopo la seconda salatura porta i capperi di Pantelleria nelle aziende per poter essere confezionati o utilizzati per produrre paté.
Altri prodotti tipici sono le lenticchie, i fagioli, in dialetto “lubbia nostra”, le pesche, i fichi, i fichi d’india (“i bastarduni” sono particolarmente succosi e dolci), i gelsi e gli agrumi.
Dammuso deriva dall’arabo damus, poi domus in latino, significato: abitazione, casa. E’ architettura romana. I vandali, scendendo in Africa, espugnano Cartagine e si impossessano della flotta imperiale e mettono sotto scacco il Mediterraneo. I panteschi, che si trovano al centro del Mediterraneo, isola felicia del mare nostrum, sono costretti a rifugiarsi all’interno e si arrangiano, costruendo dei tuguri che sono gli antenati dei dammusi.
L’abitazione era mediamente composta da tre vani: la sala, il cammarino e l’alcova. Quest’ultima è comunicante con la sala principale tramite un grande arco, chiuso da una tenda ricamata, di chiara influenza mediorientale.
Tipici sono i dammusi con i “jardini” (contengono alberi di agrumi). Le bianche cupole, in quanto determinano una maggiore superficie riscaldata dal sole, determinano l’assenza di umidità e servono per l’essicazione dei prodotti agricoli e per la raccolta dell’acqua piovana. I bordi del tetto sono più rialzati per far confluire più facilmente l’acqua nella kannalata e nella jisterna. Nei vecchi dammusi non esisteva il bagno. L’eccezionale spessore dei muri è necessario per assorbire le spinte delle cupole, le quali sono rifinite di un impasto di tufo rosso e calce battuto con mazze di legno per giorni, fino a formare uno strato duro e impermeabile.
I terrazzamenti con muretti a secco sono stati fatti per ovviare che la terra scorresse verso il mare con le piogge. I termini “garca”, “margettu”, “mataretta”, “runcuni”, “tanca”, sono nomo dati ai terreni a seconda delle diverse forme e delle diverse posizioni.
Sono tipiche costruzioni rurali, la loro origine risale ai tempi della dominazione araba. Semplici e funzionali, dall’ottima abitabiltà, hanno resistito nel corso del tempo ed ancora oggi sono le abitazioni predominanti in tutta l’isola. Costruiti con la pietra lavica locale, sono un vero e proprio gioiello d’architettura. Grazie alla tecnica di costruzione e allo spessore delle loro mura, che varia da cm. 80 a 2 metri, i dammusi godono di un ottimo isolamento termico e acustico. La cupola può formare diversi tipi di volte a capanna, a botte, a crociera, a vela…). Il dammuso-abitazione aveva sempre la facciata principale intonacata, a differenza del “sardune” o del dammuso di campagna, lasciati grezzi a pietra viva, i pavimenti erano realizzati in cemento grezzo o, nelle case dei più abbienti, con mattonelle decorate. Ancora oggi si trovano volte arricchite da rilievi e decorazioni. Caratteristici gli antichi prospetti della zona sud-ovest (Scauri e rekhale) costituiti da una veranda chiusa con archi chiamati “Occi d’archetto”, oggi non più consentiti. Più di recente è d’uso aggiungere sul terrazzo una copertura realizzata con una struttura di canne e legno chiamata cannizzato. Le tecniche di costruzione del dammuso sono andate evolvendo col tempo: la più antica consisteva nella cosiddetta “casciata”. In pratica venivano realizzate due pareti di pietra più grosse, una interna ed una esterna con un’intercapedine riempita di pietruzze, con questo tipo di tecnica i muri potevano arrivare a misurare anche due metri e presentavano diversi vantaggi: l’utilizzo di materiale di scarto; la possibilità di ricavare armadi a muro e nicchie; il mantenimento del micro clima interno (fresco d’estate e caldo d’inverno). Intorno agli anni 1940-1950 i dammusi cominciarono ad essere costruiti con la tecnica della muratura in pietra tagliata, questa aveva il vantaggio di ridurre i tempi di costruzione, anche se aumentavano i costi relativi all’approvvigionamento e alla lavorazione delle pietre, che dovevano essere più rifinite. Oggi l’unico ruolo rimasto alla pietra è quello di rivestimento esterno, dal momento che il blocchetto di pomice e del calcestruzzo hanno del tutto soppiantato la pietra tagliata.